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VASCO ASCOLINI

PERSONAGGI E FOTOGRAFIA

"All’età di 82 anni, oltre cinquanta dei quali dedicati alla fotografia, vorrei soffermarmi con il ricordo su alcuni momenti del mio percorso in questa forma d'arte. Un'avventura lunga più di mezzo secolo, attraverso una tra le più affascinanti discipline dell'arte grafica e della comunicazione visiva, dove l'obiettivo mi ha permesso di catturare immagini che solo l'occhio dell'animo sa vedere. Una carrellata di ricordi, migliaia di fotogrammi, quasi il film della mia vita di fotografo: una vita ricca di incontri, di amicizie, di cose e di luoghi visti, o che mi è stato chiesto di cercare attraverso la lente e l'obiettivo, per svelare ciò che solo a me è dato di cogliere così. Poi, fissare per sempre quel momento, quell'istante in cui la luce abbraccia, avvolge, sfiora, accarezza, erompe e, trasformandosi in quella mirabile sintesi di tutti i suoi colori, si fa nero. Per me, un nero pieno di Luce."

                                                                                                                                                                           dal testo di Vasco Ascolini

MARIA CHIARA BOTTI FRACCHIA

PENSIERI A MARGINE DEL TESTO

"Percorso a ritroso per trovare le origini del Tanztheater"

Nel post dedicato alla sua ricerca sulle origini della danza, il M° Ascolini attinge allo scrigno dei ricordi personali, legati alla sua attività di fotografo di teatro. Come da un viaggio a ritroso che attraversa un periodo importante della sua lunga e intensa vita professionale, emergono aneddoti inediti e straordinari, impressioni e sensazioni vivissime, ancora intatte, che il tempo non è riuscito ad alterare.

Il testo è una miniera di spunti, suggeriti dai tanti ricordi.

Spunti che meritano di essere approfonditi e indagati nelle loro non casuali interconnessioni, perché possono aiutare a seguire il Maestro in un percorso artistico-culturale che, partendo da metà dell'Ottocento, si muove attraverso tutti i continenti e lo ha portato a individuare nelle danze tribali in uso presso alcune popolazioni un contributo alle origini della danza in generale e del Tanztheater, il teatrodanza, in particolare.

 

Per non smarrirsi in quella miriade di sollecitazioni indotte dal Maestro, è opportuno tenere presenti alcune peculiarità del Tanztheater: non un genere, ma una forma di coreografia che ha nell'Espressionismo tedesco il suo humus più fertile.

 

Accompagnarlo in questo cammino, nel quale Egli sembra come sospinto, anzi  incalzato, dal ritmo che risuona sul palcoscenico -  lo stesso con cui il bianco e il nero, la luce e il buio si avvicendano, coinvolgenti, soprattutto nelle sue Fotografie per il teatro - è un'esperienza di straordinario interesse. E' un percorso durante il quale si squarcia un velo su un capitolo del mondo della rappresentazione scenica, che aiuta anche a comprendere - a “sentire” e a “vedere” - lo spirito del tempo. Quello Zeitgeist che gli artisti del Tanztheater hanno mostrato già più di cinquant'anni fa nelle loro interpretazioni ed Egli ha saputo immortalare nei suoi scatti.

Ora, la carrellata di ricordi, arricchita con associazioni e considerazioni, unita alle sue fotografie, si offre come importante documento e rende la sua ipotesi sulle origini del Tanztheater particolarmente suggestiva e degna di ogni credito.

 

Bastano solo alcuni dei suoi scatti e si spalanca una finestra sul mondo del teatrodanza:

The Lindsey Kemp Company, Flowers 1979;  Ballet National Cuba Balletto dell'isola di Bali, 1980; The Tokyo Ballet 1982; Teatro Malegot Leningrado, 1979; Marcel Marceau 1980; Ballet National Cuba, 1981; Aterballetto Barok – Milan Sladek, 1984; Cullberg Ballet, Giselle, 1985; Crowsnest Ballet, Balletto di Francoforte1986; Momix Dance Company, Martha Graham Lamentation 1987;  The Tokyo Ballet Kabuky, Coreografo: Maurice Béjart, 1988; ISO Company 1988; Balletto Teatro Kirov Leningrado (oggi Mariinskij di S. Pietroburgo) 1988.

 

E' proprio nel gesto, nello slancio, nell'estrema tensione di ogni muscolo che si compie la metamorfosi: pari al miracolo della natura che trasforma bruchi terragni in meravigliose, eteree creature, quei corpi si librano sul palco come farfalle liberate dalla crisalide.

Quella stessa citata metamorfosi che ha visto la danza spogliarsi di ogni sua regola  per diventare Tanztheater. Vestito di un niente o quasi, è il nudo corpo - non l'impudicizia della nudità - a entrare in scena, e con esso il respiro della vita, di ogni pulsione, di ogni passione, catturati da un clic del Maestro, fissati per sempre in una fotografia.

 

E' stato soprattutto guardando la recente Giselle, coreografata in stile Tanztheater da Akram Kahn che il M° Ascolini – al quale dobbiamo anche degli scatti di Giselle interpretata dalla grande Carla Fracci - coglie alcune affinità con Le sacre du printemps, coreografia di Pina Bausch su musica di Igor Stravinskij, fotografata a Reggio Emilia negli anni Ottanta.

Nello spettacolo di Kahn, il suo occhio “vede e sente” nella danza tribale le origini del Tanztheater e della rivoluzione di cui proprio il compositore russo, Pina Bausch e Kahn sono fautori.

L'opera di Stravinskij rappresenta infatti uno stravolgimento dei canoni della composizione musicale e del ruolo degli strumenti: gli ottoni e le percussioni impazzano in modo quasi parossistico e sembrano riportare ai primordi, proprio allorché la storia narra di un rito ancestrale, quando una giovanetta balla un'estenuante danza che dovrà condurla fino alla morte, per propiziare al villaggio le divinità della primavera.

 

Questo rito sacrificale genera un intrigante gioco di rimandi. In particolare, le ragazze Tsonga - in un rito di iniziazione per il quale vengono interamente dipinte di blu - ballano danze frenetiche e ogni loro parte del corpo è partecipe dell'alternarsi del ritmo, ora lento e ora frenetico.

Se il ritmo suggerisce al Maestro affinità con Le sacre du printemps di Pina Bausch, e il coinvolgimento di ogni parte del corpo rinvia a quanto propugnava Kurt Joss nella sua affermazione: “Perché un balletto sia degno di questo nome, è necessario che tute le parti del corpo contribuiscano alla sua realizzazione”,  il velo di Kemp evoca in lui valenze simboliche e religiose. Ma è soprattutto il corpo tinto di blu che sembra fare da suggestivo catalizzatore di misteriose magie, di insondabili, atavici saperi dei quali troviamo traccia nel  presente.

Il blu – il blu del cielo, della notte, del mare, del manto della Madonna, il blu scaramantico delle nozze, il blu del sangue nobile, del jeans, del Blues – è un colore la cui simbologia fin dai tempi più remoti è carica di significati e di implicazioni presso quasi tutti i popoli, a tutte le latitudini, e si esprime ancor oggi attraverso usi, costumi, linguaggio, per arrivare ai significati attribuitigli in campo artistico e psicologico. Era il preferito di Kandinsky e di Marc, del loro gruppo artistico Der blaue Reiter, non a caso chiamato così, come lo fu di Yves Klein, al quale dobbiamo il Blu Klein, l'IKB ovvero l'International Klein Blue, brevettato anche se mai prodotto, a cui il catalogo Pantone può solo avvicinarsi con il 18-394 Dazzling Blue.

Il più recente omaggio a questo precursore della Body art è la mostra Autunno blu, a Genova da settembre 2020 ad aprile 2021, con sette gigantografie di judo del M° Ascolini, non solo fotografo, ma egli stesso anche cintura nera.

Sette spettacolari mosse che sembrano una trasposizione di Tanztheater. 

Una mostra che non solo valorizza sensibilità e interessi comuni agli artisti, a cominciare dal pensiero Zen, ma consente anche di chiudere il cerchio sul colore.

 

Indicando come  fondamentali i contributi di cinema e fotografia, il M° Ascolini evidenzia due date: 1839 per l'immagine fissa e 1895 per l'immagine in movimento. L'aver posto l'accento su fissità e movimento è come avere già orientato il lettore a riflettere sul tempestoso passaggio tra staticità e dinamismo che ha caratterizzato ogni ambito della vita fra Otto e Novecento.

Nel concetto di passaggio entrano in gioco i significati di crisi, di confine, di vecchio e nuovo, di antico e moderno, di passato e futuro con un interrogativo sul presente che impone all'attenzione i concetti di tempo e di luogo, a cui sicuramente il pensiero di Bergson, di Einstein e di Freud hanno dato un significativo contributo.

Sono gli anni in cui l'Europa è attraversata da incontenibili fermenti di rivolta in ogni ambito, innescati in campo artistico dalle Secessioni e dal Dada, i cui echi giungeranno anche negli Stati Uniti, ma torneranno nel Vecchio Continente riportando feconde contaminazioni e regalando al mondo una nuova arte: la Fotografia.

 

Partendo dal cenno all'Espressionismo, la cui radice affonda nelle tempestose ribellioni del Dada e nel suo propugnare il “ritorno alle origini”, il Maestro va a recuperare dai millenni della storia un qualcosa di primordiale che appartiene a un sapere inconscio, innato e forse universale, che ha attraversato secoli e culture, paralleli e meridiani di ogni continente, e si esprime oggi – punta di un gigantesco iceberg –  nel Tanztheater.

Molto più della danza. Non un genere, ma un “pensiero”, un modo di matrice espressionista di interpretare la coreografia, nella quale si mixano elementi caratteristici della danza libera, del balletto classico, del mimo, del cabaret, del teatro. Il tutto teso ad esprimere attraverso il corpo - tutto il corpo con ogni suo muscolo – ciò che l'animo vuole dire, raccontare, affermare, urlare...

Durante i suoi servizi fotografici per il Teatro Municipale di Reggio Emilia,  il M° Ascolini ne respira le motivazioni critiche, avverte le aspirazioni e le tensioni ideali, ne vive gli slanci creativi e ne subisce anche le provocazioni.

Con le sue fotografie documenta un momento di rottura brusca, quasi violenta, che ha bandito la bellezza come valore, come veicolo di contenuti e di messaggi e - per un pubblico spesso indignato e scandalizzato - ha messo in scena la vita nel suo respiro, nelle sue parole non dette e talvolta indicibili, nei lati più oscuri, più duri, crudi, talvolta scabrosi e respingenti.

 

Il M° Ascolini fa riferimento a tre momenti di spettacolo per lui fondamentali: 1979 Flowers di Lindsay Kemp; 1987 Martha Graham; 1988 Pina Bausch.

Poco più di dieci anni in cui - tra Europa, America e l'Oriente – il Tanztheater consolida il suo pensiero e la sua sintesi plastica e calcherà le scene di tutto il mondo.

Al tempo stesso, l'esperienza professionale del Maestro al Municipale di Reggio Emilia ha avuto come esito fotografie che ora sono da interpretare anche come espressione di un intenso dialogo fra artisti, le cui esperienze si sono nutrite vicendevolmente ora da lontano, ora da vicino, si sono sfiorate, intrecciate, talvolta anche scontrate.

 

Se tra il 1935 e il 1945 negli USA - dove la fotografia vive un momento di grandissima espansione e vivacità - è Barbara Morgan a documentare alcune fra le più significative coreografie di Martha Graham – la più grande danzatrice e coreografa americana -  in Italia è Vasco Ascolini, tra il 1985 e il 1987, durante le stagioni di danza del Municipale Valli di Reggio Emilia, a ritrarla riuscendo a superare più di qualche difficoltà, come Egli racconta. Mentre negli Stati Uniti alcuni scatti della Morgan daranno lo spunto ad Andy Warhol per i celebri disegni del 1986 che ritraggono alcune figure iconiche della grande Martha Graham, in Europa, fra il 1979 e il 1988, sarà sempre Vasco Ascolini a fotografare il meglio del Tanztheater.

Il M° Ascolini ha fotografato l'avanguardia firmata da Lindsay Kemp, Julian Beck e Judith Malina, Pina Bausch, Martha Graham, Milan Sladek, ma anche il mimo di Marcel Marceau e il teatro Kabuki e il teatro del Noh, che arrivano in Europa dalla più antica tradizione del lontano Giappone.

Quelle immagini sono il raro documento di un capitolo straordinario della storia del teatro e del teatrodanza, ma rappresentano anche l'interessante spaccato di un'epoca.

 

Le popolazioni presso le quali la danza tribale è ancora praticata e a cui fa riferimento il Maestro Ascolini – basandosi su rare fotografie in bianco e nero, su alcuni filmati dell'Istituto Luce,  citando in particolare un passaggio da Lo Sciamanismo - Oriente segreto, di Alix de Montal – sono presenti in quasi tutto il globo, dall'Asia all'America del Sud, con un'alta concentrazione in Africa; mentre per quanto riguarda l'Europa, qualche retaggio Egli lo ha individuato in Italia, in Sardegna.

Dai Sajojo Irian di Papua Indonesia ai Khajuraho nel cuore dell'India settentrionale, dalle tribù africane Himba - che vivono nella Namibia ai confini con l'Angola – a quelle dei Kariobangi, di stanza alle porte di Nairobi, fino alle popolazioni Tsonga, le danze accompagnano ogni cerimonia; così come durante il rito dell'applicazione del piattello labiale, presso alcune popolazioni sia del Continente Nero, sia del  Sudamerica.

 

Non sarà che anche le danze popolari dell'Italia Meridionale, come la pizzica e la tarantella, abbiano risentito di recondite influenze? E ne sarà rimasto immune il can can, ritenuto indiavolato, scandaloso, dissacrante, ma che, invece, impazzava sui palcoscenici del cabaret e sulle tele di Toulouse-Lautrec nella Francia della Belle-Époque?

In ogni caso, presso la nostra cultura, la danza con le sue figure, con la sua valorizzazione del corpo umano, si è meritata gli onori del palcoscenico, del Teatro.

 

Nella poetica del Maestro Ascolini il corpo e il teatro costituiscono due tematiche fondamentali che spesso si intersecano, si con-fondono per fondersi in un unicum spettacolare.

In ogni suo scatto, quel corpo - custode della vita, di ogni suo fremito, ma destinato al senile decadimento – diventa l'imperituro protagonista attorno al quale tutto il teatro si armonizza e la fotografia del Maestro sottrae entrambi all'effimero e al degrado, donando loro quell'eternità di cui vive ogni capolavoro.

Con le sue fotografie per il teatro il M° Vasco Ascolini è riuscito a spingersi oltre la scena, trasferendo ad ogni suo scatto il brivido dell'emozione che corre tra palchi, loggione e platea; quell'abbraccio ideale in cui il teatro del pubblico stringe il teatro del palcoscenico e chi lo anima: ineffabile empatia,  quid fugace e impalpabile della rappresentazione teatrale.

Quella che oggi possiamo definire un'autentica vocazione per la fotografia di teatro, si esprime in ogni stampa firmata Ascolini con una teatralità intensa, ma al tempo stesso anomala e quasi contradddittoria: senza compiacimento, senza enfasi, scabra ed essenziale. Per questo, potente.

Quella con cui, nelle sue fotografie - come nel più plateale coup-de-théâtre -  senza farsi vedere, entra in scena lei: la Luce.

Una luce vibrante di ritmo, che par stuzzicare il buio e rende spettacolare ogni scatto.

 

Danza e fotografia hanno trovato nel lavoro del M° Ascolini un luogo di incontro privilegiato, che  induce ad aprirsi anche al cinema quando, sempre focalizzando l'attenzione su Pina Bausch, ce la porta ad apprezzare come principessa Lheira ne E la nave va di Fellini, del 1983, e poi protagonista assoluta in Pina di Wim Wenders.

Due capolavori cinematografici che, in quanto tali, dalla vera fotografia non possono prescindere.

Quella fotografia che, nella sua più autentica e più poetica accezione di interprete della luce, ha nel M° Ascolini un suo straordinario protagonista anche nell'esclusivo capitolo della fotografia di teatro e di teatrodanza, il Tanztheater.

Un mosaico per il Tanztheater

Il testo del M° Ascolini "Percorso a ritroso per trovare le origini del Tanztheater"  invita ad  andare alla scoperta di qualche notizia in più sui personaggi da lui citati, tenendo presenti i vari legami che li hanno uniti uno all'altro e il contesto storico culturale nel quali si sono mossi.

Il mosaico che nasce da questa rapida ricerca offre una panoramica sul Tanztheater - o teatrodanza - che aiuta a seguire ancor meglio il Maestro nell'itinerario da lui proposto.

 

Partendo dalla data a cui risale l'immagine fissa - il 1835 - è utile iniziare a riflettere su ciò che accadeva in Europa da metà dell'Ottocento circa in avanti.

Saranno gli anni segnati da profondi rivolgimenti politici e sociali, dal tramonto degli imperi, dalle due Guerre mondiali, dai due dopoguerra e dalle ideologie politiche.

 

Ai moti del Quarantotto in campo politico, in campo artistico hanno fatto seguito le Secessioni. Tra fine Ottocento e la prima metà del Novecento, la loro fioritura a Monaco, a Vienna, a Berlino ha generato tutti i principali movimenti culturali europei, e non solo,  del XX secolo.

Le Secessioni hanno come date ufficiali: Monaco 1892, Vienna 1897, Berlino 1898;  in Italia il Manifesto del Futurismo è del 1909; a Zurigo - tra il 1916 e il 1920 - si sviluppa il Dada, soprattutto tra gli artisti che avevano lasciato la Germania per motivi politici. Quando ritornano dalla Svizzera, i dadaisti tedeschi si stabiliscono prevalentemente a Berlino, a Colonia e ad Hannover. Tuttavia, sempre in Germania, l'avanguardia che darà vita all'Espressionismo si esprime tra Dresda e Monaco, dove nascono Die Brücke (1905) e Der Blaue Reiter (1911). 

 

Intanto, negli USA, il Dada europeo arrivato essenzialmente con Piscator, trova nuova linfa e matura un nuovo profilo attorno ad Alfred Stieglitz, grande fotografo americano d'avanguardia. Di famiglia ebrea di origine tedesca, a lui si deve un grande contributo per il riconoscimento della Fotografia come arte.

La sua celeberrima Galleria 291, nella 5th Avenue, è frequentata da personalità artistiche di spicco come Man Ray - geniale fotografo americano, pittore e grafico - ma anche da esponenti molto significativi del Dada europeo, quali Francis Picabia e Marcel Duchamp, colui che è riuscito a mettere i baffi alla Gioconda e a trasformare gli orinatoi in celebri fontane.

 

Saranno essenzialmente il Dada, l'Espressionismo e il Surrealismo a creare i presupposti per la nascita del Tanztheater.

Il Tanztheater è l'espressione della coreografia del Novecento. Un modo di interpretarla che si sviluppa in Germania a cavallo tra gli anni '60 e '70 e che ha in Pina Bausch la sua anima e la sua interprete più significativa. Questa nuova concezione di coreografia - che attinge a vari linguaggi e mixa elementi della danza moderna, del cabaret, del mimo, rivoluzionando di conseguenza tecnica, passi, figure classiche, per una coreografia “totale” - non solo affonda le sue radici nel pensiero europeo più all'avanguardia del primo Novecento, ma si nutre anche del pensiero orientale riconducibile alla pratica Zen, che arriverà in Europa soprattutto veicolato dal Kabuki e dalla grande lezione di Marcel Marceau.

 

Pur con sfumature e accenti diversi, i movimenti che caratterizzano il Novecento sono essenzialmente sovversivi, improntati alla trasgressione, alla dissolutezza, alla stravaganza, dominati dalla mancanza di rispetto delle regole, in nome di una libertà assoluta in ogni ambito della vita sociale e privata.

In sintesi: vengono rifiutati gli ideali classici, con tutto ciò che è riconducibile a sistema, tradizione, accademia. Si osa persino bandire quell'ideale di bellezza che ha improntato di sé ogni ambito lungo i mellenni della storia del pensiero, dell'arte e della vita occidentale.

La necessità di rompere ogni legame con gli orpelli della tradizione è sostenuta da una forte tensione ad andare “oltre”, ad oltrepassare ogni limite. A ciò corrisponde un'altrettanto forte attrazione verso l'esotico, verso paesi lontani,  a cui si accompagna l'esigenza di un ritorno all'essenzialità delle origini.

Un'esigenza, questa, che – come ha osservato il M° Ascolini – pare riflettersi nel recupero da parte del teatrodanza di molti elementi della danza tribale, dove il corpo è nudo e il suo saltare ritmico si fa musica che unisce cielo e terra.

 

I nuovi principi hanno investito tutte le arti senza risparmiare l'estetica e hanno rappresentato anche un modo di essere, traducendosi in costume. Sono state coinvolte la musica, la letteratura, il teatro,  la danza, tutte le arti visive: pittura, scultura, grafica, architettura, fotografia e cinema, diventati spesso strumenti di denuncia e di provocazione ideologica, politica  e socio-culturale.

I progressi di carattere tecnico e scientifico, in particolare con gli studi  della medicina sul corpo umano e le teorie della psicologia e della psicanalisi di Freud e di Jung, si riverberano sensibilmente sul pensiero che prima serpeggia tra Vienna e Zurigo poi, sia pure con diverse declinazioni, dilaga in tutta Europa e raggiungerà gli Stati Uniti.

Allo sviluppo delle idee intorno ai concetti di tempo e spazio, un contributo importante arriva sicuramente dal pensiero di Bergson e di Einstein.

 

Tuttavia, durante il suo continuo spostarsi tra la Germania di Prussia e Baviera, tra Francia, Svizzera e Italia, di “opera totale” - con il suo Wort Ton Drama, dove confluiscono letteratura, musica, danza, psicologia, arti figurative, spazio scenico, al fine di realizzare una perfetta sintesi delle arti - aveva già parlato Wagner, individuando proprio il “teatro come opera d'arte totale” e spiegando che “il bisogno più urgente e più forte dell'uomo perfetto e artista è di comunicare se stesso – in tutta la pienezza della sua natura – all'intera comunità”.

E' un'idea che si configura come una potente anticipazione dell'Espressionismo e non solo.

Il concetto elaborato da Wagner sembra innescare il dibattito su arte totale, terreno fertile per accogliere quella sintesi rappresentata dall'antico teatro giapponese del Kabuki, nel quale si fondono differenti discipline come musica, danza, canto, recitazione,  approdato in Europa dal lontano Oriente per la prima volta negli anni Ottanta e che - proprio nel Vecchio Continente - Vasco Ascolini ha fotografato per primo.

 

E' una svolta netta, con un capovolgimento di prospettiva per cui,  all'Impressionismo che voleva cogliere la fugacità dell'attimo, si contrappone l'Espressionismo con la necessità di portare alla luce ciò che di più profondo, di più intimo, di più nascosto il corpo umano custodisce. Ed ecco che, sul palcoscenico, è al corpo che è  affidato il compito di rinviare a tutto ciò, in una sintesi assoluta di cui il Tanztheater si fa interprete e che il M°Ascolini, con le sue fotografie, ha saputo cogliere nella sua essenza più vera.

Cosa non casuale, considerato che il corpo è una tematica costante nella fotografia  del M° Ascolini. 

Tanto che, nel 2019, Annalisa Comes gli ha dedicato un interessante lavoro di tipo retrospettivo dal titolo “Fotografia, rovine, tempo”, declinato ne Le rovine del corpo, il corpo in rovina; Le rovine del corpo in praesentia e in absentia: una raccolta di scatti che interpretano il corpo sul palcoscenico della vita, tra ospizi e manicomi; sul palcoscenico del teatro; nelle teche dei musei o nei loro depositi.

 

Kurt Joss - grande ballerino e coreografo tedesco, fondatore e direttore del Dipartimento di danza della Volkwang Schule di Essen, alla cui scuola si è formata Pina Bausch – sembra in perfetta sintonia con lo spirito del tempo quando afferma  :“ ...è necessario che tutto il corpo esprima quello che voglio e non solo le gambe e che è quello che rimprovero ai ballerini classici. Perfetto gioco di gambe, grazia e scioltezza. Sanno rendere espressive mani e braccia... Perché il balletto sia degno di questo nome, è necessario che tutte le parti del corpo contribuiscano alla sua realizzazione artistica...”, come riporta il M° Ascolini.

 

Il nuovo concetto di espressività del corpo - a cui dovrà corrispondere un ruolo adeguato anche sul palcoscenico - richiede anche una nuova coreografia. Questa esigenza, culturalmente ormai matura nell'Europa continentale, era contemporaneamente sentita anche Oltremanica.

Lindsay Kemp, coreografo, ballerino, mimo, regista, di origine britannica, mixando in modo originale vari linguaggi teatrali, con Flowers darà vita a quello che, dal 1979 in poi e in varie versioni, sarà un successo mondiale sui più importanti teatri del mondo a cominciare da Londra e New York, e ne farà uno fra i primi e più importanti interpreti del Tanztheater.

 

L'intreccio di rapporti, frequentazioni, contributi che, per quanto riguarda il Tanztheater, si tesse tra l'Europa  e le Americhe - in particolare tra la Germania e New York - ha in Judith Malina una importante protagonista. Attrice, regista teatrale, scrittrice, con il marito Julian Beck – artista eclettico e inquieto che gravitava intorno all'Espressionismo newyorkese -  nel 1947 fonderà il Living Theater, compagnia  di teatro  sperimentale, la cui cifra è quella della più dura critica al sistema politico, economico e sociale americano. Trasferitasi dalla Germania negli USA, a New York Judith Malina ha frequentato la Dramatic Workshop, la scuola di arte drammatica di Erwin Piscator, emigrato egli pure negli States da Berlino, dove aveva aderito al Dada, collaborato con Bertold Brecht e - forse memore della lezione Wagner – aveva tentato anche un'esperienza di “teatro totale” con Walter Gropius, tra i fondatori del Bauhaus.

 

Sulle orme del suo maestro - il ballerino e coreografo Kurt Joss – sempre a New York, da Wuppertal, arriva Pina Bausch. Qui frequenta la Juilliard School. Viene scritturata dal New American Ballett e dal Metropolitan Opera House, ma soprattutto conosce il pensiero e la tecnica di Martha Graham - la più grande danzatrice e coreografa americana del Novecento.

Gli anni di New York produrranno in Pina Bausch uno stravolgimento nella sua concezione di danza. Tornata in Germania, succederà a Kurt Joss nella direzione della Volkwang Schule e si dedicherà alla coreografia, diventando la più importante esponente del teatrodanza europeo.

Nel 1975 firma Le sacre du printemps, su musiche di Stravinskij. Sarà una pietra miliare del Tanztheater.  Questa coreografia farà il giro del mondo, così come Café Müller, del 1978, su musiche di Henry Purcel, che  nel 1980, in tournée in America del Sud, sarà rappresentata anche a Curitiba, nel cuore dell'Amazzonia, dove molte popolazioni hanno mantenuto la tradizione di riti con danze ancestrali. All'epoca, in Brasile, Marilena Ansaldi – diventata poi la più importante protagonista del teatrodanza sudamericano, spentasi il 9 febbraio 2021, a 86 anni - era già un'affermata ballerina.

 

L'esperienza americana diventerà fondamentale anche per gli sviluppi di tutta la scuola di danza tedesca che -  concentrata tra Wuppertal, Essen, Colonia, in quella regione al confine con la Francia che nel XVII secolo aveva visto nascere il balletto classico - saprà dare vita ad una nuova stagione della danza europea.

 

Martha Graham è considerata la madre della danza moderna. Di questa disciplina ne ha fatto una nuova forma d'arte che ha nel corpo il proprio strumento e ha messo a punto una tecnica ad hoc, che è stata brevettata. E' la Tecnica Graham,  basata su contraction and release, cioè contrazione e rilassamento, che vede la respirazione come l'atto vitale più importante e maggiormente adatto per esprimere le emozioni più profonde dell'animo umano. Nessuno è ancora riuscito ad esprimere e a trasmettere come lei quelle emozioni, attraverso il corpo in scena.

 

Milan Slàdek, originario della Slovacchia, come geniale coreografo, regista, attore, studioso e poi docente universitario, porterà in scena e negli atenei le sue passioni: la pantomima, il mimo, le marionette e molta dell'arte circense, come la clownerie. A queste discipline darà dignità artistica ed accademica, elevandole a un rango che solo il palcoscenico di un teatro e una cattedra universitaria possono conferire.

 

Marcel Marceau, ineguagliato genio del mimo, nel 1969 fonda la Scuola Internazionale del Mimo, che porta il suo nome, e sarà un riferimento fondamentale per tutta una generazione di artisti di teatrodanza, ma non solo.

Con questo inarrivabile maestro del silenzio, del gesto e dello sguardo, finisce di dipanarsi la grossa matassa di incontri e frequentazioni che andranno a formare il tessuto di cui è costituita la nuova, straordinaria stagione del Teatro moderno, e si va così a completare il mosaico del Tanztheater fin dalle sue origini.

Un fenomeno artistico del quale le fotografie del M° Ascolini diventano una guida sicura alla sua comprensione, rimanendone interpreti straordinarie, vigorosa ed eloquente testimonianza.

                                                                                                                                                   Maria Chiara Botti Fracchia

 

 

                                                                                                                             

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